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  Maggio 2021

Difendere i combattivi lavoratori immigrati del sindacato
S.I. Cobas contro la repressione


Piacenza, 13 Aprile: Il raduno dal S.I. Cobas contro la repressione affronta la polizia.  (Foto: Il Piacenza)

No al vicolo cieco del riformismo – Forgiare un partito operaio rivoluzionario!

26 APRILE – In questo secondo anno di pandemia di coronavirus, l’Italia è ancora impantanata nella rappresentazione horror di questa piaga moderna senza fine. Sono oltre 119.000 i morti nel paese, su oltre 3 milioni in tutto il mondo, causati dal COVID-19. Inoltre, il numero di morti (70.520) della seconda ondata, da novembre 2020 in poi, è più del doppio della prima ondata avvenuta tra Marzo e Maggio 2020 (33.441), quando l’Italia era l’epicentro dell’infezione a livello mondiale. Sono centinaia le persone che ancora muore ogni giorno a causa dei ritardi nelle vaccinazioni di massa. Poiché le persone infettate dal COVID raggiungono oggi il 40% di tutti i pazienti, e in alcune regioni sono anche di più, poca cura preventiva viene prestata. Le persone che hanno un disperato bisogno di cure mediche, comprese molte con malattie tumorali, spesso devono aspettare mesi per essere curate, se vengono curate. Gli ospedali sono paralizzati, prestano poca cura per altre patologie, mentre i pazienti per operazioni e altre cure essenziali sono costretti a cercare di rivolgersi a cliniche private.

La borghesia italiana ha scelto come presidente del Consiglio dei ministri il ex-banchiere affamatore dell’UE, Mario Draghi, i per fare il lavoro sporco d’imporre l’austerità ai lavoratori nel pieno della pandemia di COVID.  (Foto: Alessandro Di Meo / EFE)

In questa emergenza in corso, la borghesia italiana ha scaricato il debole e instabile governo di coalizione del Partito Democratico (PD) e l’inaffidabile Cinque Stelle (5S). Quando, a metà Gennaio, il minuscolo partito di Italia Viva, dell’ex premier Matteo Renzi, ha scatenato un’altra crisi parlamentare, ne è seguita la consueta sfilata ritualistica delle consultazioni parlamentari dei vari partiti con il presidente Sergio Mattarella. Ma questa volta, piuttosto che scegliere un’altra coalizione di “centrosinistra” o di “centrodestra”, Mattarella ha fatto cadere la scelta su Mario Draghi, l’ex presidente della Banca Europea. La speranza di chi governa era di evitare disastri economici e “disordini sociali” ottenendo allo stesso tempo prestiti e sussidi dal Recovery Fund dell’Unione Europea (UE). All’improvviso, dopo tutte le loro infinite liti, tutti i partiti parlamentari, dal PD ai 5S, dalla Lega fascista di Matteo Salvini ai LEU e tutti gli altri - con la sola eccezione dei fascisti di Fratelli d’Italia - si sono affrettati a porgere il loro solerte sostegno con i loro elogi più sontuosi rivolti al salvatore d’Italia appena instaurato sul trono. 

L’UE e la maggior parte della borghesia italiana volevano un sostenitore affidabile dell’UE che avesse autorità internazionale, che potesse ottenere e utilizzare il Recovery Fund per presumibilmente “modernizzare” il capitalismo italiano e “rimetterlo in piedi”. Credono (o sperano) che Draghi presto sarà in grado di iniziare a ridurre l’esplosione del debito nazionale (vicino al 160% del prodotto interno lordo) applicando l’austerità, proprio come fece il precedente governo di “unità nazionale” guidato da Mario Monti, un altro eurocrate, piano brutalmente eseguito dal 2011 al 2013. Draghi ha certamente solide credenziali come “mago” dell’alta finanza. Infatti, ha guidato la Banca europea dal 2011 al 2019, presiedendo con la selvaggia austerità sponsorizzata dall’UE alla devastazione dell’economia greca. Prima d’allora è stato governatore della Banca d’Italia e uno dei maggiori dirigenti della Goldman Sachs.   

I primi mesi del governo Draghi sono stati pieni della retorica su come “tutti gli italiani sono insieme in questo” e devono unirsi e lavorare insieme per uscire dall’attuale crisi sanitaria, dopo la quale tutto andrà molto meglio. Contrariamente a queste sciocchezze nazionaliste, i primi colpi del governo Draghi sono stati rivolti ad aumentare la repressione contro il movimento operaio. In particolare, ha preso di mira il sindacato S.I. Cobas, che raccoglie lavoratori prevalentemente immigrati, a Piacenza, Prato e altrove, in una campagna apparentemente orchestrata fatta di preparativi per una guerra di classe a tutto campo.


Prato, 24 Aprile: più di 2 mila in piazza  per sostenere il sciopero degli operai della Texprint. (Foto: S.I. Cobas)

Allo stesso tempo Draghi ha dichiarato che le cosiddette “imprese zombi” - quelle che non sono considerate competitive - non dovrebbero ricevere sussidi, o continuare ad esistere. Uno di questi “zombi” più grandi è Alitalia, che potrebbe licenziare fino a 8.000 dipendenti. La maggior parte delle sovvenzioni, tanto pubblicizzate dal Recovery Fund, e dalle tasse è previsto vadano alle imprese e per sostenere il sistema bancario. Mentre i sussidi per i milioni di persone veramente bisognose sono solo una goccia nel mare rispetto a quanto sarebbe necessario e comunque non ve ne sono affatto per quei lavoratori che hanno contratti precari, part-time, a breve scadenza o che hanno perso il lavoro. Il divieto, molto parziale, contenuto nel “blocco dei licenziamenti” terminerà a giugno o subito dopo e porterà rapidamente a massicce perdite di posti di lavoro, poiché molte aziende sono profondamente indebitate e stanno tagliando o chiudendo. Secondo quanto viene riferito, anche le pensioni “Quota 100”, che consentono il pensionamento all’età di 62 anni con almeno 38 anni di contribuzione integrale all’INPS, alle quali è quasi impossibile accedere, verranno revocate. 

La prima visita di Draghi da Primo ministro ad uno Stato estero è stata in Libia, all’inizio di Aprile, subito seguita da quelle dei ministri in carica Luigi Di Maio e Luciana Lamorgese. Mentre Draghi parlava di “ricostruire l’amicizia di lunga data e la vicinanza dei due paesi” la storia vera è fatta di atroci crimini commessi dall’imperialismo italiano nella sua brutale colonizzazione della Libia. Nei fatti Draghi ha cercato contratti di costruzione per salvaguardare gli interessi di Enel e per continuare a finanziare il regime libico per fermare l’immigrazione in Italia. L’Italia e l’Ue hanno donato centinaia di milioni di euro alla Libia per bloccare l’immigrazione, costruendo campi di concentramento da incubo. Nel frattempo, il bilancio militare in Italia è cresciuto di oltre il 6% quest’anno. La repressione richiesta all’estero al servizio dell’imperialismo italiano va di pari passo con una maggiore repressione del movimento operaio in Italia.

Disastro sanitario

Il palcoscenico era già pronto per il disastro sanitario dal momento in cui venivano tagliati i  37 miliardi di euro dai budget sanitari degli ultimi dieci anni: 70.000 letti ospedalieri eliminati, 359 reparti ospedalieri soppressi e più di 200 ospedali chiusi (vedi “La pandemia di coronavirus imperversa in Italia, sopraffacendo il sistema medico capitalista” [Aprile 2020] in L’internazionalista N. 5, Agosto 2020). L’aggravarsi della crisi sanitaria ha colpito in modo particolarmente duro il sud, che ora ha un disperato bisogno di personale sanitario e strutture mediche. Il fatto è che l’Italia non aveva affatto un piano di emergenza per la pandemia. I medici di famiglia sono stati lasciati soli senza istruzioni o attrezzature di sicurezza, mentre i loro pazienti sono stati identificati solo dopo aver manifestato i sintomi e inviati al pronto soccorso dell’ospedale. Le misure del governo per limitare la pandemia sono fallite miseramente. 

Mentre la prima ondata della pandemia in primavera ha raggiunto il picco e poi è diminuita bruscamente, la seconda ondata nel tardo autunno ha raggiunto il picco alla fine di novembre e da allora si è attestata rimanendo alta. I governanti capitalisti, cercando avidamente di salvaguardare i loro profitti, non hanno mai voluto chiudere l’industria. I lavoratori continuano a viaggiare ammassati nei mezzi pubblici e hanno dovuto lottare per ottenere le pur minime condizioni igieniche sul lavoro. Ora il lancio delle operazioni di vaccinazione è stato dolorosamente e criminalmente lento. Appena il 20% della popolazione italiana ha ricevuto anche una prima dose di vaccino per COVID-19, rispetto al 41% negli Stati Uniti, al 50% in Gran Bretagna e al 51% della minuscola San Marino. Il motivo? Perché gli sforzi per la vaccinazione dell’UE sono stati gestiti dai banchieri, i cosiddetti “Eurobanker”, che hanno mercanteggiato sul prezzo dei vaccini mentre gli Stati Uniti e il Regno Unito hanno sovvenzionato con miliardi di fondi governativi le aziende farmaceutiche di Big Pharma e perciò hanno ottenuto i vaccini. Quindi naturalmente la borghesia italiana sceglie un “Eurobanker” come suo primo ministro!


Miseria nella pandemia di coronavirus: distributzione alimentare a Milano a Gennaio 2021. (Foto: Alessandro Grassani / New York Times)

La pandemia ha notevolmente peggiorato quella che era già un’economia barcollante. Sono 945 mila i posti di lavoro in meno rispetto a un anno fa (Istat, Febbraio 2021) e centinaia di migliaia di piccole imprese hanno già chiuso l’attività o rischiano seriamente di chiudere, lasciando i dipendenti senza lavoro. Le file alla Caritas per procurarsi il cibo sono ora molto più lunghe e molti di quelli che prima avevano lavori precari ora non hanno più niente. Il gran numero di disoccupati o quelli privi di un contratto regolare non hanno diritto ad alcun sussidio statale. Nel frattempo, i limiti imposti all’apertura di negozi, hotel, ristoranti, eventi pubblici e servizi pubblici sono stati contrassegnati da una serie confusa di zone gialle, arancioni e rosse con regole in continua evoluzione che hanno costretto continuamente queste attività ad aprire e chiudere. Di fronte al disastro economico e alla massiccia bancarotta, i piccoli borghesi infuriati sono scesi in piazza per protestare, spesso insieme a forze fasciste e apertamente fasciste.

Invece di mobilitare le più vaste risorse con una pianificazione centrale e un’economia socializzata per garantire cure mediche, reddito, forniture di cibo e beni di prima necessità per tutti come ha fatto la Cina, contenendo efficacemente il virus mortale subito dopo lo scoppio iniziale, l’Italia e gli altri paesi capitalisti-imperialisti, privati di una capacità ospedaliera adeguata, hanno inviato a casa (e case di cura) i pazienti sintomatici per infettarne altri. Da allora, le misure di contenimento attivate e disattivate ripetutamente sono state inefficaci, mentre lo sviluppo dei vaccini è rimasto sotto il controllo dei monopoli farmaceutici. Nel frattempo, nella crisi economica indotta dal COVID, i ricchi sono diventati più ricchi mentre la classe operaia e gli oppressi sono diventati più poveri. In un documento,COVID, la pandemia dei profitti e del potere (settembre 2020), Oxfam scrive: “32 multinazionali hanno avuto 109 miliardi di profitti extra nel 2020, ma l’88% andrà a pagare gli azionisti, mentre 400 milioni di posti di lavoro sono stati persi e 430 milioni di aziende rischiano di chiudere “.

Le donne sono le più colpite dalla crisi economica. Con la chiusura delle scuole e delle strutture per l’infanzia a causa del COVID, le donne che lavorano non hanno un posto dove collocare i propri figli. Secondo l’Istat, tre quarti delle perdite di posti di lavoro nel 2020 riguardavano donne. Come ha esclamato una madre lavoratrice immigrata in una riunione di S.I. Cobas: “Questo paese non ha futuro, non può nemmeno provvedere ai bambini”. Oggi meno della metà delle donne in età lavorativa ha un lavoro e il numero di quelle che ce l’hanno è più concentrato in lavori meno retribuiti, part-time, e soprattutto ora, più pericolosi. Sebbene i tassi di infezione siano più alti tra gli uomini, le donne sono molto più esposte al contagio avendo a che fare con lavori che si occupano della cura dei malati, degli anziani e delle persone bisognose di assistenza. E poi c’è l’impatto sulla vita delle donne e dell’aumento del carico di lavoro familiare. Si fa ancora più urgente esigere un’assistenza all’infanzia gratuita 24 ore su 24.

Come Nucleo Internazionalista rivendichiamo anche il diritto all’aborto gratuito su richiesta in strutture mediche sicure e di alta qualità. Insieme allo smantellamento dei servizi sanitari femminili locali, c’è stata una diffusa propaganda anti-aborto da parte delle forze reazionarie, tra cui Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia di Berlusconi, che in Piemonte, Veneto, Marche, Umbria, Abruzzo e Friuli sono andate sabotando la legge 194 che regolamenta l’aborto, imponendo restrizioni di “obiezione di coscienza” ulteriori e chiudendo i consultori. Nel complesso, la pandemia viene utilizzata per cercare di rafforzare i ruoli tradizionali assegnati alle donne dalla borghesia, inclusa la responsabilità per la cura dei bambini, degli anziani e dei disabili. Le donne sono consegnate alla trinità capitalista di “casa, cucina e chiesa” (casa, cucina e chiesa), mentre la pressione sul reddito familiare ha portato anche a un aumento della violenza domestica.   

Battaglie di classe nell’industria logistica


Prato, il 24 Aprile: gli operai di Texprint sono scesi in sciopero per ottenere per una settimana lavorativa di 40 ore (“8 ore per 5 giorni”).  (Foto: S.I. Cobas)

Spinti a reagire da condizioni di lavoro brutali, alcuni dei settori più sfruttati della classe operaia hanno intrapreso azioni sindacali e di solidarietà, incentrate sulla logistica, sui lavoratori di Amazon e sui “riders” (lavoratori della consegna di cibo a domicilio). Nella logistica, la condizione dei salari miseramente bassi è la norma, come lo sono i turni di lavoro di 12 ore (spesso sette giorni su sette), nessuna indennità di malattia, nessuna retribuzione per gli straordinari, nessun servizio di ristorazione, condizioni di lavoro pericolose, lavoro pesante a ritmi vertiginosi che poi risultano in ferite o lesioni permanenti come le ernie, lavoro precario senza stabilità lavorativa, combinato con l’esternalizzazione ad appaltatori e subappaltatori. 

Il sindacato S.I. Cobas, che è stato in prima linea in molte di queste battaglie, è incentrato sulla logistica e ha ottenuto nell’ultimo decennio alcune conquiste significative in alcuni luoghi di lavoro. A Gennaio FedEx - TNT ha annunciato il licenziamento di 6.500 posti di lavoro in tutta Europa, 850 dei quali in Italia, compreso l’intero hub di Piacenza. FedEx - TNT ha scelto di chiudere l’hub di Piacenza a causa della presenza dei S.I. Cobas aveva ottenuto nelle lotte passate retribuzioni più alte e migliori condizioni di lavoro. Dopo uno sciopero dei 300 lavoratori dello stabilimento, durato 13 giorni, l’8 Febbraio è stato firmato un accordo per mantenere aperto l’hub. 

Ma l’accordo è stato violato a Marzo da FedEx-TNT, quando la direzione ha iniziato a bloccare le merci preparandosi ad usare altri siti dove spostare le merci. Questa è stata la scintilla che ha dato inizio ad uno sciopero con picchetti da parte dei lavoratori dello stabilimento di Piacenza che continua tuttora, insieme a scioperi di solidarietà che si sono estesi in tutta Italia, provocando spesso lunghe file di camion fuori dai cantieri e interrompendo di fatto l’intera rete di circolazione delle merci.  I picchetti di scioperi di solidarietà di FedEx-TNT, SDA e altri addetti alla logistica e ai corrieri a Peschiera Borromeo (Milano), Crespellano (Bologna), Roma, Parma, Orbassano (Torino), Teverola (Napoli), Fiano Romano e altri luoghi hanno ripetutamente subito l’aggressione da parte della polizia. 

Nel frattempo, a Prato i lavoratori dello stabilimento tessile Texprint, licenziati per lotta sindacale, dal 18 Gennaio sono scesi in sciopero e da Febbraio hanno stabilito una presenza permanente 24 ore su 24 all’ingresso principale. La loro richiesta principale è quella di vedersi riconosciuti la settimana lavorativa di “8 x 5” (8 ore per 5 giorni, 40 ore settimanali) invece dell’attuale settimana di “12 x 7” (12 ore per 7 giorni, 84 ore settimanali). 

In occasione della Giornata internazionale della donna, l’8 Marzo, c’è stata una manifestazione di 1.500 lavoratori e sostenitori davanti a un cantiere di Amazon. Due settimane dopo, il 22 Marzo, c’è stato uno sciopero nazionale di 24 ore dei 40.000 lavoratori di Amazon in Italia che ha effettivamente chiuso l’azienda. Questo sciopero ha incluso la partecipazione dei lavoratori dei trasporti che riforniscono le strutture di Amazon e quelle che provvedono alle consegne finali. Lo sciopero è stato indetto dalla federazione sindacale CGIL, che senza dubbio ha sentito crescenti pressioni dai ranghi e temeva di perdere il controllo. Qualsiasi sforzo per sindacalizzare questo gigante della distribuzione internazionale ferocemente antisindacale, i cui enormi e crescenti profitti si basano su condizioni di lavoro brutali, è considerato una seria minaccia dai padroni.

Il 9 Marzo, la polizia ha ferocemente aggredito i lavoratori in sciopero davanti ai cancelli di Texprint a Prato, lasciandone due a terra che hanno dovuto ricorrere alle cure di Pronto soccorso e ferendone molti altri. In seguito, il 10 Marzo, due giorni dopo la manifestazione iniziale per la sindacalizzazione di Amazon, la repressione della polizia e poi giudiziaria contro S.I. Cobas e l’intero movimento operaio si è intensificata. A Piacenza, la polizia ha arrestato Carlo e Arafat, i coordinatori sindacali S.I. Cobas, ha perquisito le case di 21 lavoratori FedEx-TNT, ha sequestrato i loro computer e ha comminato sanzioni pecuniarie, oltre ad avviare la procedura per revocare sei fogli di soggiorno (documento legale necessario per restare nel paese) dei lavoratori immigrati. Noi facciamo appello alla rivendicazione di pieni diritti di cittadinanza per tutti gli immigrati e chiamiamo per azioni dei lavoratori contro le espulsioni .

Il 26 Marzo, il S.I. Cobas ha indetto uno sciopero generale di 24 ore che ha effettivamente chiuso la logistica. L’entusiasta partecipazione dei “riders” (lavoratori della consegna di cibo a domicilio), dei trasporti locali e dei lavoratori portuali a Genova, Napoli e altrove, insieme ad altri, mostra il potenziale per mobilitare sezioni più ampie della classe lavoratrice, inclusa, in modo significativo, una più ampia partecipazione oltre agli immigrati anche di lavoratori italiani. Ci sono state anche manifestazioni di studenti, giovani e altri a sostegno dello sciopero. S.I. Cobas ha poi convocato un raduno di emergenza a Piacenza il 13 Aprile, in difesa di tutti i compagni contro la repressione. I discorsi e l’umore dei 3.000 partecipanti alla manifestazione sono stati di sfida e determinati. Gli slogan includevano “Siamo tutti Arafat, siamo tutti Carlo”, “un attacco a uno è un attacco a tutti” e “la repressione non fermerà la lotta”. 

La presenza delle forze di polizia è stata rafforzata sia ai picchetti sia altrove, a volte anche in maniera massiccia, con poliziotti in tenuta antisommossa. Sebbene Carlo e Arafat siano stati rilasciati, restano molteplici i procedimenti giudiziari emessi attualmente contro centinaia di compagni. Sono 300 i procedimenti giudiziari avviati contro i lavoratori del S.I. Cobas a Modena per diversi scioperi. Analoghe azioni legali sono pendenti contro i lavoratori di Genova e Tortona. Il coordinatore provinciale S.I. Cobas di Bologna, Simone Carpeggiani, è stato condannato a nove mesi di reclusione a causa di un picchetto di sciopero del 2014. Inoltre, la polizia ha perquisito le case dei lavoratori portuali di Genova del CALP (Collettivo autonomo lavoratori portuali) minacciando azioni giudiziarie contro di loro a causa del boicottaggio intrapreso da questo collettivo del Maggio 2019, che ha ottenuto un ampio successo, contro le spedizioni navali di armi militari all’Arabia Saudita usate nella loro sporca guerra contro lo Yemen (vedi L ‘internazionalista N. 5). L’elenco degli atti di repressione giudiziaria continua. 

L’attività sindacale non è un crimine. È dovere fondamentale di tutti i lavoratori coscienti e sostenitori della causa della classe operaia e degli oppressi combattere per mobilitare e mettere in atto proteste, scioperi e altre azioni in difesa di tutti coloro che sono attaccati dallo Stato borghese. Il governo Draghi e i padroni perseguono in particolare il S.I. Cobas e altri nel movimento operaio che sono in prima linea nella lotta per i diritti sindacali e per i diritti di tutti. La lotta per difenderli è urgente, come scandivano cantando gli operai S.I. Cobas di Piacenza: un attacco contro uno è un attacco contro tutti! Noi chiamiamo:  per il ritiro di tutte le accuse contro i nostri compagni e compagne, fratelli e sorelle di classe, dalla FedEx - TNT di Piacenza, alla Texprint a Prato, a Modena e ovunque.

La sera del 22 Aprile, una cinquantina di teppisti pagati da FedEx-TNT hanno cercato di intimidire i partecipanti ai picchetti fuori dal terminal TNT di San Giuliano (Milano). I manifestanti li hanno affrontati a testa alta con successo. Questa non è la prima volta che questi teppisti mercenari dell’azienda vengono usati. Sono inviati da SKP, la stessa compagnia di vigilanza che fornisce il servizi anti-pirata per lo Stato italiano sulle navi commerciali che viaggiano nelle acque al largo del Corno d’Africa. Sono formati e scelti in modo selettivo e fra loro sono inclusi ultras della squadra di calcio dell’Inter filo-nazista e individui vicini alla Ndrangheta. Alcuni di loro sono suprematisti bianchi appartenenti ad Hammerskins, un gruppo razzista formatosi negli USA, Texas nel 1988, il loro leader è stato a capo delle guardie del corpo personali di Berlusconi. Questi teppisti hanno libero sfogo e lavorano in coordinamento con la polizia. Facciamo appello alla formazione di guardie di difesa dei lavoratori contro questa teppaglia di destra in combutta con la polizia.

Non un blocco “anticapitalista” riformista, ma un partito operaio leninista-trotskista


Piacenza, 8 Marzo:  manifestazione di 1.500 persone davanti ai cancelli di Amazon, Castel San Giovanni, contro la repressione e per la difesa dei diritti delle donne nella Giornata internazionale della donna.  (Foto: S.I. Cobas)

La risposta di gran parte della sinistra che si richiama al socialismo è stata quella di formare un  Patto d’Azione con i sostenitori politici del sindacato S.I. Cobas. Il Patto si definisce come fatto da “Centinaia di persone – Decine di organizzazioni – UN UNICO PROGRAMMA DI LOTTA”. Si parla di creare un “Fronte unico di classe”. In realtà, il Patto d’Azione non è un vero Fronte Unico, che è una convergenza temporanea per azioni specifiche sotto la parola d’ordine “colpire uniti, marciare separatamente”, ma piuttosto una coalizione politica su base continua di forze eterogenee che poggia sull’accordo su 15 punti di un programma politico riformista.

Ciò che colpisce di questo programma è che è costituito in grande maggioranza in appelli al governo capitalista affinché agisca in favore degli operai, piuttosto che in appelli ai lavoratori a contare su se stessi per far rispettare le proprie richieste. In L’internazionalista N. 5, abbiamo stampato l’appello all’azione dei lavoratori nella crisi COVID-19 pubblicato dai nostri compagni di Class Struggle Workers – Portland negli Stati Uniti. Quest’appello includeva la disposizione che “Un movimento operaio militante di massa con una direzione di lotta di classe istituirebbe commissioni di lavoratori nei luoghi di lavoro per decidere misure appropriate da prendere, tra cui la chiusura ove necessario, senza perdita di retribuzione, o il proseguimento della produzione con le necessarie garanzie”. Il Patto d’Azione in 15 punti, invece, prevede solo “comitati di lavoratori al monitoraggio del rispetto dei protocolli” stabiliti dal governo.

E, sebbene il Patto d’Azione preveda una “riorganizzazione completa del servizio sanitario pubblico unico, universale, gratuito, con una rete territoriale capillare, con focus sulla prevenzione delle malattie e sulla tutela della salute nei luoghi di lavoro”, una richiesta del tutto sostenibile, questa lascia ancora il sistema sanitario pubblico nelle mani del governo responsabile della disastrosa risposta alla pandemia COVID. Al contrario, i nostri compagni della Lega Quarta - Internacionalista do Brasil hanno fatto appello, contenuto nel programma della loro Candidatura al potere dei lavoratori – alle elezioni del novembre 2020 della città della produzione dell’acciaio di Volta Redonda – non solo a “porre fine alla privatizzazione dell’assistenza sanitaria” ma anche alla “espansione immediata del sistema sanitario pubblico per fornire cure ospedaliere di alta qualità a tutti i malati, sotto il controllo dei lavoratori e l’ausilio della guida di medici professionisti”.

Il punto 3 del programma dei 15 punti richiede una “patrimoniale” e una “tassa del 10% sulla ricchezza del 10% più ricco della popolazione i cui proventi andrebbero in salari e spese sociali”. Questa rivendicazione, come anche altri schemi di “tassazione dei ricchi” non sono certo delle rivendicazioni radicali, tanto meno richieste “anticapitaliste”. Sono vari i paesi capitalisti europei che applicano “tasse sulla ricchezza”, tra questi il Lussemburgo e la Svizzera, e in misura molto minore la Francia e la Germania. Ma l’idea che si possa tornare al capitalismo dello “stato sociale” di un tempo, l’idea che la borghesia si adegui docilmente a leggi che si focalizzino sull’estrarre sostanzialmente di più dalle loro fortune e dai loro profitti al fine di pagare programmi sociali utili alla comunità è un’illusione riformista. Le attuali politiche “neoliberiste” riflettono il fallimento del capitalismo in decadenza.

Alcuni sostenitori del Patto d’Azione giustificano questa richiesta affermando che “un’imposta sul reddito pesante o graduale” venne sollevata nel 1848, Manifesto Comunista. Ma questo difficilmente è incompatibile con il capitalismo. In Italia, le imposte progressive sul reddito risalgono al 1877, sono state riaffermate dalla Costituzione del 1947, e attuate dai governi della Democrazia Cristiana nel 1958 e nel 1973, con aliquote massime del 59%, successivamente ridotte al 43% nelle fasce superiori. Negli Stati Uniti negli anni ‘50, sotto il governo repubblicano Eisenhower, l’aliquota fiscale marginale sui super ricchi era del 91%, redditi familiari annuali superiori a 3,4 milioni di dollari (al valore del cambio del 2015). Eisenhower non era certo un socialista. Noi non siamo certamente contro ad alzare le tasse ai ricchi, ma non è compito dei comunisti dare suggerimenti agli imperialisti su come finanziare il loro stato: la nostra lotta è di difendere gli interessi dei lavoratori e degli oppressi e di espropriare la borghesia.

Il punto 9 del programma richiede un “taglio drastico delle spese militari (un F35 costa fino a 7,113 ventilatori polmonari)”. Questo, e simili appelli per “soldi per il lavoro / scuole / ospedali, non per la guerra” sono una versione aggiornata dei vecchi appelli populisti che chiamano per “burro contro cannoni”. La posta in gioco non è una questione di priorità di bilancio. L’idea che la borghesia taglierebbe le sue spese militari, che considera assolutamente essenziali per il suo dominio di classe e gli interessi imperialisti, al fine di pagare i programmi sociali per quella stessa classe lavoratrice che sfrutta e reprime brutalmente, è un altra illusione socialdemocratica tipicamente riformista. L’atteggiamento comunista nei confronti dell’esercito borghese è stato ben affermato dal rivoluzionario tedesco Karl Liebknecht, durante il massacro interimperialista della prima guerra mondiale, “Né un uomo, né un soldo per l’esercito borghese”. 

Ciò che i veri comunisti devono dire alle masse nella straziante crisi del coronavirus è la verità fondamentale che la classe operaia deve stabilire il suo governo di classe rivoluzionario, appropriandosi dei mezzi di produzione e collettivizzandoli, organizzando la produzione per soddisfare i bisogni umani, non i profitti di pochi. Il programma del Patto d’Azione non fa appello alla necessità di stabilire il potere dei lavoratori - non è altro che una lista di desideri di riforme.

Quasi tutti, se non tutti, i componenti del Patto d’Azione affermano che la Cina è capitalista o addirittura imperialista, si rifiutano di difenderla dall’imperialismo e dalla controrivoluzione e, in un modo o nell’altro, in genere pappagallano la propaganda imperialista anti-cinese. Non spiegano e non possono spiegare perché la Cina con una popolazione di 1,5 miliardi di persone abbia avuto meno di 4.800 morti a causa del coronavirus, mentre la pandemia continua a imperversare senza controllo in tutto il mondo capitalista. La Cina, con la sua economia pianificata socializzata, sebbene burocraticamente deformata, ha efficacemente contenuto il virus mobilitando decine di migliaia di persone per eseguire test di massa, istituendo una rigorosa quarantena con isolamento e trattamento per tutte le persone infette, consegnando loro cibo e costruendo due ospedali entro due settimane. Cina e Cuba hanno anche inviato personale medico e attrezzature in Italia e in altri paesi per aiutarli a combattere il virus. La crisi del coronavirus lo dimostra: il capitalismo uccide. Dobbiamo lottare per la rivoluzione.

Questa lotta richiede soprattutto la creazione di un  partito operaio rivoluzionario. Quel partito di rivoluzionari proletari, come quello costruito dai bolscevichi russi, deve essere basato su un solido programma leninista-trotskista di rivoluzione socialista internazionale. Noi del Nucleo Internazionalista d’Italia, Lega per la Quarta Internazionale, intendiamo lavorare per la creazione di questo partito. ■