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  dicembre 2024

Ecco il regime del MAGA: Miliardari “populisti” sul piede di guerra
Democratici raccolgono i frutti amari del loro disprezzo per i lavoratori

Elezioni U.S.A. 2024:
Trump II si prepara a
governare per decreto


L’esercito segreto di Trump: agenti federali senza distintivi con i loro nomi o altri segni d’identificazione occupano la scalinata del Lincoln Memorial nel giugno 2020.  (Foto: Agence France-Predsse)

Questo articolo è stato tradotto da The Internationalist n. 74, settembre-dicembre 2024, il giornale del Internationalist Group, sezione statunitense della Lega per la Quarta Internazionale.

DICEMBRE 2024 – Le elezioni statunitensi del 2024 costituiscono un punto di svolta nella storia recente, che perfino gli imperialisti liberali e conservatori riconoscono come la fine di un’epoca. Il riferimento è all’èra dell’egemonia globale degli USA che fece seguito alla Seconda guerra mondiale. Il “secolo americano” è finito. La vittoria di Donald Trump è avvenuta contro il Partito Democratico di Joe Biden e Kamala Harris e contro l’“establishment” repubblicano, cioè contro i partiti complici che si sono alternati al governo sulla base di un “consenso da Guerra Fredda”. La loro sconfitta riflette il declino a lungo termine degli Stati Uniti nell’economia capitalista mondiale, e adesso anche l’indebolimento della loro potenza militare. In tutto il pianeta, dall’Ucraina a Gaza, sono scoppiate delle guerre, gli USA hanno perso il controllo degli alleati, i loro regimi per procura stanno colando a picco e si verificano colpi di stato anche nelle “democrazie” appoggiate dagli Stati Uniti – tutto ciò riflette il fatto che il mondo non è più agli ordini di Washington.

Sul fronte interno, negli Stati Uniti ma anche nella maggior parte degli altri paesi imperialisti, la decadenza del capitalismo ha fatto sì che i livelli di vita della classe operaia e di gran parte della classe media si stanno abbassando. L’inflazione ha divorato i redditi, cosicché milioni di persone hanno difficoltà ad acquistare i beni di prima necessità: generi alimentari, benzina per le loro autovetture, affitti e mutui, bollette dell’elettricità e del riscaldamento. Questo è stato il motivo principale del calo di voti per i democratici alle elezioni del 5 novembre, ma anche dell’attrazione elettorale esercitata da Trump e dai suoi repubblicani populisti di destra del MAGA (acronimo di “Make America Great Again” cioè fare dell’America di nuovo un grande paese), nonché dai partiti di estrema destra in Europa. Il risultato potrebbe essere non una nuova èra di dominio incontrastato di un governo “populista conservatore”, bensì piuttosto un periodo di acuto conflitto sociale... e un conseguente aumento della repressione, con un crescente ricorso a misure da stato di polizia per reprimere i disordini.

Molte persone sono assai spaventate. Il Partito Democratico è gravemente ferito. Ha perso gran parte dei giovani e molti liberali a causa della guerra genocida degli USA e di Israele contro il popolo palestinese a Gaza. L’erosione del sostegno della classe operaia ai democratici è arrivata a un punto di rottura. Negli exit poll, tra gli elettori non laureati (ampiamente considerati come sinonimo di operai), Trump aveva un vantaggio di 13 punti sulla Harris. Il maggior cambiamento si è verificato tra gli elettori di origine ispanica, sia uomini sia donne, appena la metà dei quali ha votato per i democratici, rispetto al divario di 2 a 1 del passato. La questione principale, per i repubblicani, è stata l’immigrazione, rispetto alla quale Trump ha scatenato l’isteria contro i “migranti illegali”. Ma in particolare, mentre Trump ha ottenuto 3 milioni di voti in più rispetto al 2020, la Harris ha registrato 6 milioni di voti in meno rispetto a quelli per Biden del 2020. Il fatto fondamentale è, dal punto di vista elettorale, che questa volta milioni di democratici si sono astenuti.

           Rompere con i partiti capitalisti!
        Per un partito operaio rivoluzionario!



Il comizio di Donald Trump del 27 ottobre 2024 al Madison Square Garden di New York è stato un'orgia di razzismo in cui uno degli oratori, oltre a lanciare insulti contro ebrei e neri, ha definito Porto Rico “un'isola galleggiante di immondizia”.   (Foto: Adam Gray / Bloomberg)

Dunque, più che un netto spostamento a destra della popolazione statunitense, le elezioni del 2024 sono state un voto – attivo e passivo, da destra e da sinistra – contro il Partito Democratico. Per rendersene conto è importante guardare a ciò che non è accaduto. L’enorme vantaggio di Trump tra gli elettori bianchi non laureati non è aumentato, ma anzi è leggermente diminuito tra i votanti di sesso maschile. Il canale televisivo Fox News ha riferito che gli elettori provenienti da famiglie sindacalizzate hanno votato al 54% per la democratica Harris, con una lieve flessione rispetto al 56% di Biden del 2020. (Gli incrementi di Trump si sono verificati soprattutto tra le famiglie non sindacalizzate, che costituiscono l’82% dell’elettorato). Ma soprattutto, il voto del malcontento sociale è andato ai repubblicani e non ai democratici, i quali sono stati visti come il partito delle élite sdegnose, responsabili dell’escalation delle guerre e artefici di politiche che hanno impoverito il popolo lavoratore.

Analogamente, in Europa i socialdemocratici e i principali sindacati sono sostenitori convinti della guerra per procura degli USA e della NATO contro la Russia e a favore dell’Ucraina, con la maggior parte dell’“estrema sinistra” al seguito. Inoltre queste forze di “centro-sinistra” sostengono e applicano le politiche di austerità direttamente collegate alla corsa alla guerra, che stanno immiserendo la classe operaia e gran parte della classe media. Non è sorprendente che in Austria, in Francia, in Germania, in Italia, nei Paesi Bassi e altrove i partiti populisti di destra, fascistoidi (fascisteggianti) e fascisti veri e propri, stiano raccogliendo voti di protesta, al pari dei partiti di destra filo-russi nell’Europa orientale (Moldavia, Romania, Slovacchia). Dagli Stati Uniti all’Europa, la responsabilità delle vittorie della destra è da attribuire in pieno ai dirigenti traditori riformisti della sinistra e dei sindacati, che da lungo tempo hanno legato le loro sorti a quelle dell’imperialismo. Seguendo questa linea, essi hanno lavorato per incatenare la classe operaia ai cosiddetti settori moderati o “progressisti” della classe dominante.

Negli Stati Uniti, durante la campagna elettorale, l’Internationalist Group metteva in guardia:

“Quindi a novembre gli elettori statunitensi dovranno ‘scegliere’ tra i repubblicani fascistoidi, che attaccano gli immigrati e si preparano a introdurre provvedimenti da stato di polizia, e una lista democratica che, mentre calunnia come ‘antisemita’ chi manifesta a favore della Palestina, veleggia verso una Terza guerra mondiale termonucleare. ‘Scegliete il vostro veleno’ non è una risposta. Noi diciamo: nessun voto a nessun partito, o politicante, capitalista.”

E così la vicepresidente del Democratico “Genocide Joe” Biden, Kamala Harris, ha perso, mentre l’aspirante Repubblicano al ruolo di “dittatore fin dal primo giorno”, Donald Trump, ha vinto. I suoi scagnozzi sono ora intenti a sfornare ordini esecutivi da rendere di pubblico dominio nel giorno della cerimonia d’insediamento del Trump 47,1 il 20 gennaio, o subito dopo. I furgoni bianchi della polizia dell’Immigration and Customs Enforcement (ICE, Agenzia per il controllo dell’immigrazione e delle frontiere), l’odiata migra, sono addestrati a strappare gli immigrati dalle strade – e persino dalle scuole, dagli ospedali e dalle chiese, un’azione perlopiù proibita durante il Trump 45. I democratici, demoralizzati, volano basso o, come l’ampiamente detestato sindaco di New York City, Eric Adams, non vedono l’ora di baciare l’anello del “Padrino”. Insomma, non si prospetta nulla di buono.

Di fronte alla sinistra opportunista, impotente, e alla burocrazia sindacale venduta e screditata, è urgentemente necessario organizzare una dura opposizione di classe al nuovo regime imperialista e contro tutti i partiti e i politicanti capitalisti. Invece di guardare ad avventure isolate, essa dovrebbe basarsi sulle organizzazioni di massa della classe operaia per intraprendere una poderosa azione operaia e sindacale in difesa degli immigrati e lottare per mettere fine alle deportazioni in massa che Trump prepara utilizzando il meccanismo delle deportazioni perfezionato dai suoi predecessori democratici. Essa deve difendere tutte i settori vulnerabili della popolazione, tra cui i gay, le lesbiche e i trans gender, che sono sulla lista nera dei reazionari razzisti, omofobi e misogini di Trump. E dovrebbe formare dei gruppi operai di autodifesa contro gli aspiranti assaltatori fascisti che si considerano “l’esercito di Trump”. Nonostante la sua vittoria alle urne, la minoranza dei seguaci incalliti di Trump, intenzionati a partecipare ad atti d’intolleranza teppistica, può essere sconfitta.

Durante la campagna elettorale Trump si è presentato con la bava alla bocca, giurando di epurare gli esponenti della sinistra da tutte le istituzioni. Si sta preparando a dare la caccia ai manifestanti pro Palestina e ai professori di sinistra, minacciando di tagliare i fondi alle città, agli Stati e alle istituzioni che si oppongono alla sua auspicata Gleichschaltung (l’epurazione nazista) delle università e delle scuole. In questa situazione, l’ultima cosa che i suoi bersagli designati dovrebbero fare è quella di “cercare un riparo”. Questa minaccia non può essere attutita o rallentata, ma deve’essere affrontata attraverso una mobilitazione frontale.

Vari sondaggisti, liberali “moderati” e alcuni “fratelli di Bernie” socialdemocratici consigliano di abbandonare la difesa dei settori emarginati e oppressi, e di “concentrarsi sulle questioni fondamentali”. I marxisti rivoluzionari fanno appello a unire la classe operaia, quale tribuno di tutti gli oppressi, sulla base di un programma rivoluzionario che porti gli operai al potere. È necessario forgiare un’avanguardia autenticamente comunista dotata di un programma rivoluzionario per mobilitare la nostra forza, la forza della classe operaia alla testa di tutti gli oppressi, in difesa dei diritti democratici di tutti. Rompere con tutti i partiti capitalisti – Costruire un partito operaio basato sulla lotta di classe per combattere per un governo operaio!

La campagna elettorale: i democratici snobbano gli operai

Nell’Electoral College, l’organismo altamente antidemocratico i cui voti determinano il vincitore delle elezioni presidenziali, Kamala Harris ha perso con un margine sostanziale (226 voti contro i 312 a favore di Trump). Tuttavia, per quanto riguarda il voto popolare, il margine è stato di gran lunga inferiore, visto che Trump ha ottenuto il 49,9% dei suffragi e la Harris il 48,4%.2 Nelle elezioni per la House of Representatives (Camera dei rappresentanti), la maggioranza repubblicana si è ridotta di tre seggi, mentre i democratici hanno conquistato in tutto un seggio. Il fatto fondamentale è che gli Stati Uniti sono divisi in maniera molto netta – e molto uniforme – per cui spostamenti di voti anche relativamente ridotti hanno poi grandi conseguenze elettorali. Non è come alle elezioni del 1972, quando il repubblicano Richard Nixon ottenne il 61% dei voti contro il 38% del democratico George McGovern e lo stesso Nixon conquistò tutti gli Stati del paese tranne il Massachusetts. Ciò nonostante, tre anni dopo Nixon fu defenestrato, costretto a dimettersi a causa dello scandalo Watergate.

Sulla scia della sconfitta dei democratici nel 2024, e una volta costatato che la Harris aveva ottenuto milioni di voti in meno rispetto a quelli di Biden nel 2020, essi hanno cominciato a venirsene fuori con ogni genere di scusa: “l’impostazione dei democratici non era ottimale”, “Kamala non ha avuto un tempo sufficiente per condurre la sua campagna”, “non c’era abbastanza denaro a disposizione”. Tutte sciocchezze. La campagna di Kamala Harris ha raccolto la somma enorme di 2,9 miliardi di dollari per le elezioni, spendendone 700 milioni solo per i media, mentre Trump ha raccolto 1,8 miliardi, compresi i 277 milioni avuti da Elon Musk. La “democrazia” del dollaro del governo capitalista statunitense si è raramente manifestata in maniera più flagrante. Il grande capitale era schierato dalla parte dei democratici e l’elezione era stata definita “la battaglia dei miliardari”. E adesso che cosa dovrebbe fare un miliardario democratico? Offrire un milione di dollari per la cerimonia inaugurale di Trump, come hanno fatto Jeff Bezos, Mark Zuckerberg e altri.

Un altro argomento è che la vittoria di Trump, e la sconfitta della Harris, sono dovute principalmente al sessismo, al razzismo e alla xenofobia: cioè all’opposizione alla possibilità di avere come presidente una donna americana di colore e d’origine asiatica. Ovviamente in tutto il mondo esiste molto sciovinismo maschile, e Trump ha condotto una campagna iper maschilista con grossolane allusioni sessuali. Si è trattato di una campagna misogina in piena regola. Dietro a tutti gli attacchi contro le “donne ego maniacali senza figli” e i “sociopatici senza prole” lanciati dal compagno di corsa di Trump, J.D. Vance, e dietro ai discorsi sulle “donne tradizionali” che rimangono a casa per prendersi cura dei figli, quello che vogliono è costringere le donne ad essere fabbriche di neonati. Sì, le donne tendono a votare per i democratici, ma nel 2024 la maggioranza delle donne coniugate, e circa la metà di quelle che hanno figli piccoli, ha votato per Trump. Quindi, il sessismo non spiega tutto.

Il vicepresidente J.D. Vance, un ideologo fascistoide
che vuole trasformare le donne in fabbriche di neonati. (Foto: Drew Angerer / Getty Images)

Si è anche manifestata molta nostalgia per “come andavano un tempo le cose”. A un comizio in Pennsylvania, Trump ha detto: basta con le chiacchiere, ascoltiamo un po’ di vecchie canzoni. Dopo di che ha intonato per mezz’ora una serie di canzoni “oldies but goldies” [“vecchie ma belle”]. Senza dubbio, per alcuni dei presenti al comizio questo era un riferimento a “Take me back to old Virginny” [una canzone razzista scritta verso il 1878, che è stata l’inno dello stato della Virginia dal 1940 al 1997]. Gran parte del voto evangelico bianco s’intreccia con l’attaccamento al Sud di prima della guerra civile. Dopo tutto, la chiesa Southern Baptist Convention è stata fondata per difendere la schiavitù e rimane ancora essenzialmente segregazionista (al pari di molte altre), è per oltre il 90% bianca, nonché anti-gay e antitrans. Però, tra le canzoni di quel raduno c’era anche alcuni di Elvis Presley,  “Y.M.C.A.”     e altri brani degli anni Sessanta e Settanta. Perciò, mentre “dog whistle” [“il fischio di richiamo per il cane”] fa appello al pregiudizio razziale fondamentale per i discorsi da imbonitore di Trump, e qui non c’è soltanto razzismo.

La campagna di Trump puzzava di xenofobia. I cartelli alla Convention repubblicana chiedevano “Deportazioni di massa, subito” e “Stop alla criminalità degli immigrati”. E ha raggiunto proporzioni grottesche quando Trump e Vance hanno diffuso la storia spaventosa (e vistosamente falsa) degli immigrati haitiani che a Springfield, nell’Ohio, si nutrirebbero degli animali domestici delle case dei residenti. Nel 2016 Trump aveva definito i messicani come stupratori e spacciatori di droga, e questa volta ha etichettato gli immigrati senza documenti come dei “mostri”, sostenendo che stanno “avvelenando il sangue del nostro paese”. Eppure egli ha riscosso un significativo sostegno da parte dei Latinos: oltre il 20% nel Bronx e lungo il confine col Messico. Ciò riflette in parte la religiosità conservatrice di spezzoni sostanziali della popolazione ispanica nonché la rabbia per l’incapacità dei democratici di varare una riforma dell’immigrazione. Ma, anche molti immigrati Latinos, e non, si sono bevuti la menzogna degli immigrati “illegali” che “rubano il lavoro agli operai statunitensi”. Quindi, non si tratta nemmeno soltanto di xenofobia.

La Convention nazionale repubblicana di Milwaukee, a luglio, ha risuonato di xenofobia e di richieste di deportazioni di massa degli immigrati. (Foto: Scott Olson / Getty Images)

Perfino la guerra culturale sui pronomi riflette un più generale allontanamento dai democratici. Certo, l’annuncio terribilmente efficace della campagna dei repubblicani: “Kamala è a favore dell’essi/loro, Trump è per il voi/vostro”, era un’espressione dell’isteria montata dai mass media di destra contro i vulnerabili gay, lesbiche e trans, insultando gli “uomini che praticano sport femminili” come una minaccia mortale per la civiltà. Essa ha alimentato l’abominevole campagna che, in questi ultimi anni, ha prodotto oltre 500 proposte di legge contro trans e gay in 41 Stati, molte delle quali sono poi entrate in vigore. Ma, ha anche espresso la profonda sensazione che il Partito Democratico non parli più a favore del popolo lavoratore, né che lo rappresenti... cosa che, naturalmente, non ha mai fatto. Perciò non si tratta soltanto di trans fobia e di omofobia.

Nei mass media liberali c’è stata un’interpretazione erronea dei risultati elettorali, che rifletteva la politica identitaria borghese promossa dai democratici, escludendo i fattori economici che hanno dirottato gran parte dei voti verso Trump. Obama ha accusato i neri di non voler lasciare che le donne facciano dei passi in avanti, ma non ha detto nulla a proposito di come i lavoratori neri sono stati particolarmente colpiti dalla crisi economica, licenziati in numero di gran lunga maggiore durante la pandemia da COVID e, oltretutto, “sottoposti a un superlavoro, sottopagati e oppressi”. Questa vecchia storia è anche un riflesso delle difficoltà economiche, poiché molti lavoratori hanno problemi a pagarsi il cibo, il carburante e l’alloggio. I salari adeguati all’inflazione sono ancora al di sotto di quanto fossero prima della pandemia.

Il repubblicano Donald Trump con il funzionario della United Steelworkers.
(Foto: Win McNamee / Getty Images)

I lavoratori sono in difficoltà e molti di loro ritengono che i politicanti del Partito Democratico vivano in un altro mondo. Chi poteva credere alle favolette di Biden (nel suo discorso sullo stato dell’unione del 2024) secondo cui l’economia statunitense stava attraversando “la più grande ripresa che la storia abbia mai conosciuto”? I democratici sostengono che l’inflazione stia diminuendo, eppure, anche secondo le statistiche ufficiali, rispetto al 2020 i prezzi dei cibi e delle bevande sono aumentati del 23%. I bruschi aumenti degli alimenti di base sono anche maggiori: dal 2019, +160% per le uova, +90% per il succo d’arancia, +70% per lo zucchero, +60% per il caffè.3 Gli affitti sono schizzati alle stelle, con un incremento di almeno il 25% più o meno dovunque nel paese. Tutto ciò ha trovato un riflesso nella rivendicazione di aumenti dell’adeguamento al costo della vita durante gli scioperi, da quello degli studenti lavoratori alla Università della California fino a quello degli operai della Boeing a Seattle.

Varie analisi delle elezioni attestano la rabbia degli elettori operai nei confronti dei democratici. La deindustrializzazione della Rust Belt – letteralmente la “cintura della ruggine” che si riferisce alla fascia di territorio, cuore storico dell’industria manifatturiera USA, che va dal sud-est del Wisconsin fino alla Pennsylvania occidentale – è fondamentale. Secondo un articolo approfondito, dopo l’entrata in vigore del North American Free Trade Agreement (NAFTA, Accordo nordamericano per il libero scambio) per opera di Bill Clinton, dal 1997 al 2020 oltre 90.000 fabbriche statunitensi hanno chiuso i battenti, più del 70% delle industrie che potevano delocalizzare si sono trasferite, la sindacalizzazione è stata sconfitta con le minacce di trasferimento, il tasso di sindacalizzazione nel settore privato si è dimezzato e “gli americani privi di una laurea hanno perso quasi 2.000 dollari del loro salario”, perlopiù a causa degli accordi di “libero scambio”, dal NAFTA in poi.4

Col passar del tempo molti lavoratori hanno tratto la conclusione che il Partito Democratico li aveva messi da parte per diventare il partito di un’élite istruita. Si è trattato di una scelta deliberata. Nel luglio 2016, durante la campagna presidenziale di Hillary Clinton, il senatore democratico di New York Chuck Schumer ha riassunto come segue questo calcolo: “Per ogni operaio democratico che perderemo nella Pennsylvania occidentale, acquisiremo due repubblicani moderati nei sobborghi di Philadelphia, e questo meccanismo si può ripetere nell’Ohio, nell’Illinois e nel Wisconsin.” Ma le cose non sono andate così, né nel 2016 né nel 2024, giacché i democratici hanno perso il Michigan, l’Ohio, la Pennsylvania e il Wisconsin a vantaggio di Trump, il quale, insieme al suo candidato vicepresidente fascistoide J.D. Vance, si è cinicamente atteggiato a difensore dei posti di lavoro degli operai americani.

Nel frattempo, la campagna della Harris si è spesa al massimo per reclamizzare il sostegno ottenuto da un gruppo di brutti ceffi repubblicani di destra, cercando in tal modo di competere coi repubblicani su chi fosse “più duro sull’immigrazione e sulla difesa dei confini”, sull’“ordine pubblico” e sul militarismo imperialista e sciovinista degli Stati Uniti.5

Nel 2024, si sono verificati tre grandi cambiamenti nei modelli di voto che hanno portato alla sconfitta dei democratici: il primo è stato quello dei milioni di ex elettori democratici che stavolta non hanno votato affatto; il secondo è stato un sostanziale spostamento a destra degli elettori ispanici; e il terzo, assai più considerevole, è stata la disaffezione di ampi settori della classe operaia rispetto al Partito Democratico. La “coalizione del New Deal”, che a partire dagli anni Trenta aveva legato i lavoratori ai democratici attraverso la burocrazia sindacale, tenendo sotto controllo le loro lotte in cambio di qualche briciola lasciata cadere dalla tavola dei capitalisti, è stata infranta. Ma anche se alcuni hanno preso per buone le panzane del MAGA, i lavoratori non si sono legati né a Trump né ai repubblicani. Dobbiamo intensificare la lotta per un partito operaio e per un governo operaio.

Il governo Trump dei miliardari prepara misure da stato di polizia


Donald Trump e il suo “carissimo amico” Elon Musk, che ha sostenuto partiti e politicanti fascisti e fascistoidi in tutto il mondo e promuove divieti d’immigrazione razzisti. Musk, l’uomo più ricco del mondo, esige “efficienza” dal governo statunitense mediante licenziamenti di massa dei dipendenti federali, mentre si nutre egli stesso di contratti governativi.  (Foto: Brandon Bell / Reuters)

Fin dalla sua prima campagna e dalla conseguente amministrazione presidenziale, la politica di Donald Trump è stata ampiamente caratterizzata come un “populismo conservatore”. Ovviamente “populismo” è un termine vago, spesso utilizzato da politicanti borghesi “mainstream” per riferirsi ai “cani sciolti” che fanno appello alla propria base elettorale invece di imporre gli impopolari diktat del governo. Più in generale il “populismo”, sia esso “di sinistra” o di destra, si riferisce a una posizione d’opposizione rispetto al dominio delle élite. Sicuramente Trump inveisce contro le “élite Democratiche”, ma i tentativi degli ideologi di destra come Laura Ingraham di dipingere questo truffatore immobiliare (ed erede), che approfitta della propria immagine di multimiliardario, come un “uomo del popolo”, cadono nel vuoto. E nel mettere insieme il suo prossimo regime, il neoeletto presidente degli Stati Uniti ha arruolato alcuni degli esponenti più ricchi dell’élite capitalista per formare un governo di miliardari.

Più specificamente, si tratta di un governo di uomini d’affari miliardari, come lo stesso Trump. I primi a essere nominati sono stati i miliardari di Wall Street Howard Lutnick come Ministro del Commercio e Scott Bessent come Ministro del Tesoro.6 Ma questo non è stato che l’inizio. Secondo un conteggio effettuato dalla ABC News (il 17 dicembre 2024), 13 delle cariche più importanti dell’amministrazione Trump sono destinate ad essere assegnate a dei miliardari, trasformandola così nell’ “amministrazione presidenziale più facoltosa della storia moderna”. Questo elenco comprende anche il Ministro dell’Istruzione, un mucchio di ambasciatori e, ovviamente, i co-presidenti del fantomatico “Department of Government Efficiency” (DOGE, Dipartimento per l’efficienza governativa) Vivek Ramaswamy (che ha un patrimonio netto di un miliardo di dollari) ed Elon Musk (con patrimonio netto di 486 miliardi di dollari).

Trump presiede un governo di miliardari. In senso orario, dall'alto a sinistra: Jared Isaacman, Howard Lutnick, Elon Musk, Linda McMahon, Vivek Ramaswamy and Kelly Loeffler. (Foto: TheHill)

Se il proclama di Abraham Lincoln di “un governo del popolo, dal popolo, per il popolo”, incluso nel suo discorso di Gettysburg del 1863, riassume la posizione ideologica della “democrazia” borghese statunitense, questo governo dei miliardari, dai miliardari e per i miliardari ne sarebbe l’antitesi. (In realtà la “democrazia” borghese è sempre stata una particolare forma politica della dittatura di classe del capitale). Naturalmente la presenza di persone ricche al vertice di un governo non costituisce una novità. Verso la fine dell’Ottocento il Senato degli Stati Uniti era noto come un “circolo di milionari”. Dopo le ultime elezioni, il senatore Bernie Sanders ne ha denunciato il dominio “oligarchico”. Ma ciò non è meno vero per i democratici, dei quali egli ha ricercato la nomina presidenziale. Il ruolo della “donor class” [“classe dei donatori”, il minuscolo gruppo di plutocrati che finanzia l’uno o l’altro partito della borghesia imperialista statunitense, influenzando così in maniera decisiva gli orientamenti politici, economici e militari del governo] nel mettere da parte Biden e nel versare centinaia di milioni di dollari per la campagna della Harris, è stato lampante.

Questo ci conferma che, come scrissero Karl Marx e Friedrich Engels nel Manifesto del partito comunista del 1848, il governo è il “comitato esecutivo della classe dominante”. E che, come aggiunse Lev Trotsky in un’introduzione del 1939 a un sunto del Primo libro del Capitale di Marx: “Oggi i monopolisti costituiscono il settore più forte della classe dominante” (Marxism in Our Time, Pathfinder Press, New York 1980, p. 30). Tutta la macchina dello stato – incentrata, come dicevano Engels e Lenin, sui “distaccamenti speciali di uomini armati” dell’apparato repressivo (esercito, polizia, tribunali e prigioni) – serve a imporre gli interessi della classe dominante, che nei tempi moderni è formata dai capitalisti. Ciò che è (marginalmente) diverso nel regime di Trump è che, non accontentandosi di corrompere gli uomini politici affinché eseguano i loro ordini, i magnati della grande industria stanno giocando un ruolo palesemente diretto e dominante nel governare.

Una delle ragioni di questo cambiamento è la fissazione di Trump di gestire il governo come un’azienda. Perché allora non assumere uomini d’affari per gestirlo? Non è riuscito a farlo nella sua prima amministrazione e non ci riuscirà nemmeno stavolta. Il megamiliardario Musk, che ha recentemente appoggiato la fascistoide Alternative für Deutschlands (AfD, Alternativa per la Germania) nelle imminenti elezioni, propone di tagliare 2 trilioni di dollari dal bilancio del governo federale, circa un terzo del totale. Ramaswamy parla di tagliare il 75% dei 2 milioni di dipendenti federali. Entrambi questi presunti “esperti” di “efficienza governativa” chiedono di eliminare le tutele del pubblico impiego e di procedere a licenziamenti in massa, insieme alle deportazioni in massa degli immigrati. La messa in atto di questo tentativo produrrà il caos.

Tra i non miliardari scelti da Trump, i due che hanno suscitato maggiore clamore sono Matt Gaetz, nominato procuratore generale [Ministro di Giustizia] (in seguito ritiratosi), e Pete Hegseth come Ministro della Guerra. Le obiezioni avanzate nei loro confronti hanno eluso questioni politiche fondamentali come, nel caso di Gaetz, l’aver frequentato negazionisti dell’Olocausto e fautori della supremazia bianca e l’aver chiesto di “dare la caccia” ai manifestanti antirazzisti; o, nel caso di Hegseth, l’aver etichettato le comunità musulmane come una “minaccia all’esistenza” degli Stati Uniti e l’aver condotto una crociata per trasformare l’esercito in un’ “arma cristiana” (Politico) E poi c’è la nomina del fanatico no-vax Robert Kennedy Jr. a capo degli Health and Human Services (Servizi sanitari e umani). Quasi tutti i personaggi scelti da Trump non hanno nemmeno una parvenza di competenza o di esperienza alla guida di grandi organizzazioni. Non faranno che combattere una guerra contro i ministeri che dovrebbero dirigere.

Tutto ciò produrrà satira e ridicolo, e l’ha già fatto.7 I piani di Trump sono stati definiti come una trasposizione ai giorni nostri del romanzo di Robert Coover, The Public Burning (1977) [letterale: “Il pubblico rogo”], un racconto allucinante nel quale Richard Nixon appare sconvolto dal fatto che gli eroici comunisti Julius ed Ethel Rosenberg fossero diventati figure d’importanza storica mondiale con “un formidabile indice di notorietà”. Ma c’è anche il surreale (ora non più tanto), romanzo d’esordio di Ishmael Reed The Free-Lance Pallbearers (1967) [“il portantino libero professionista”], in cui si racconta di un venditore d’automobili usate, Harry Sam (un incrocio tra Nixon e il ditattore haitiano “Doc” Duvalier), che ha dato il proprio nome a una nazione e che ha perfino finto di essere un operaio (ve l’immaginate Trump con un grembiule di McDonald’s, mentre distribuisce patatine fritte?). Ma la realtà più oscura del Mondo MAGA di Trump è che, per realizzare il loro programma, sarebbe necessario uno “stato forte” bonapartista.8

Durante la campagna elettorale, Donald Trump ha scatenato un’incessante retorica al vetriolo contro qualsiasi persona o gruppo o movimento da lui etichettati come “malvagi”. Mentre Nixon teneva un “elenco dei nemici”, il prossimo presidente degli Stati Uniti vuole sbattere in galera quelli che odia. Durante la sua campagna del 2016 contro Hillary Clinton, Trump ha lasciato che le folle dei suoi sostenitori gridassero ripetutamente: “Sbattetela in galera!” E adesso ha dichiarato che è proprio ciò che intende fare. Lo farà davvero? Perché no, visto che i democratici hanno cercato di farlo con lui utilizzando ogni accusa immaginabile per impedirgli di candidarsi di nuovo alla presidenza, dal gonfiare il valore delle sue proprietà immobiliari (quale orrore!) e dal pagare un’attrice di film per adulti, cercando così di farlo cadere in disgrazia, fino ad accusarlo di tenere per sé dei documenti ufficiali (in una stanza da bagno!) e di aver incitato un’“insurrezione” che era più simile a un’azione da invasati.


Nella sua prima amministrazione, Donald Trump ha rinchiuso migliaia di rifugiati in recinti. Adesso il suo “zar delle frontiere” Tom Homan vuole estendere i campi di concentramento destinati agli immigrati. Homan è stato anche responsabile delle deportazioni sotto il presidente democratico Barack Obama. Nella foto: intere famiglie trattenute nella stazione della Guardia di frontiera di McAllen, in Texas, nel giugno 2019. 
(Foto: Department of Homeland Security)

L’aspirante uomo forte che inveisce contro lo “stato profondo” che governa Washington, chicchessia l’amministrazione in carica, e che proclama il proprio obiettivo di “smantellare la burocrazia” e di “bonificare la palude”, propone in realtà di rafforzare ulteriormente i poteri repressivi dello stato. Donald Trump vuole un regime autoritario con poteri militari e polizieschi incontrollati. Ha chiesto di utilizzare l’esercito per reprimere le manifestazioni (etichettate come “sommosse”) e per rastrellare, insieme alla polizia locale, gli immigrati (“clandestini”). Il suo “zar delle frontiere” Tom Homan chiede di costruire altri campi di concentramento con “100.000 posti letto”, destinati alle deportazioni di massa. Trump sbava di retorica fascista, avendo giurato di “estirpare i comunisti, i marxisti” e “i delinquenti della sinistra radicale”, che definisce “parassiti”.9

I democratici dicono che in realtà tutto questo è diretto contro di loro, e senza dubbio lo è. (Dopo tutto, Trump ha etichettato la “compagna Kamala” Harris come “una comunista (...) È davvero una marxista.”) Ma anche se i democratici liberali possono essere i bersagli finali, questa retorica verrà utilizzata per colpire i veri esponenti della sinistra, che i suoi accoliti dell’ “alt-right” [la destra alternativa] considerano alla stregua di “fiocchi di neve” che si scioglieranno quando la temperatura aumenterà. Attaccare i socialisti, i comunisti o gli anarchici potrebbe costituire una fase di riscaldamento prima di passare ai vertici democratici, oppure potrebbe essere una soluzione di ripiego nel caso in cui Trump incontrasse ostacoli nei tribunali. In ogni caso i suoi seguaci più virulenti potrebbero prendere la sua retorica alla lettera. E anche i veri marxisti e comunisti devono prenderla seriamente.

L’egemonia imperialista USA è agli sgoccioli e
il capitalismo mondiale è in putrefazione

Mentre Trump e i suoi tirapiedi si preparano a dare un giro di vite, è improbabile che i liberali oppongano una resistenza sostanziale. Coloro che avevano riposto le proprie speranze in Kamala o in Biden sono in preda a uno stato d’animo di profonda depressione. Il giorno dopo le elezioni, in varie scuole, comprese le migliori scuole private di New York, sono state organizzate delle “giornate della salute mentale”, in modo che gli studenti (e gli insegnanti) potessero “elaborare” i risultati elettorali. A differenza della fine del 2016, quando vi furono consistenti raduni anti-Trump (nel corso dei quali gli imbrattacarte democratici ci gridarono di “tornare in Russia”!), o dell’inizio del 2017, con le enormi marce delle donne a Washington, Los Angeles, New York City e altrove che hanno portato in strada oltre 2 milioni di persone per protestare contro Trump, adesso i democratici appaiono demoralizzati. L’editorialista del New York Times Michelle Goldberg ha scritto (il 6 novembre 2024) che ora è il momento di piangere, per poi organizzarsi.10

Oppure no, visto che oggi il Partito Democratico non dà segni di vita. Non si volgerà a sinistra, come sperano Bernie Sanders e altri liberali. Durante la campagna elettorale, la Harris si è espressa a favore dell’opzione “repubblicana moderata”, ponendo in evidenza i falchi della guerra Liz Cheney e Dick Cheney (alias “Principe delle Tenebre”, l’ideatore della disastrosa guerra in Iraq), e ha offerto in tal modo a Trump la possibilità di atteggiarsi a pacifista che mette in guardia contro il pericolo di una Terza guerra mondiale. I democratici hanno bruciato i loro ponti con la classe operaia. Forse cercheranno di riciclarsi come partito del centro “moderato”, abbandonando così a se stessi i liberali e la sinistra riformista. Anche se il sistema elettorale statunitense rende quasi impossibile organizzare un grande “terzo partito”, la bancarotta dei democratici appare evidente.

Molte delle ragioni del fiasco democratico erano autoinflitte. Ci riferiamo ovviamente al sostegno “a prova di bomba” dato a Israele sionista nel massacro genocida di Gaza e alla guerra per procura imperialista degli USA e della NATO contro la Russia, che si sta impantanando sempre di più nel fango ucraino. Ma anche all’inflazione e al clamore sull’immigrazione. L’enorme afflusso di 2 milioni di immigrati, maggiore che in qualsiasi altro periodo della storia degli Stati Uniti, è stato frutto della politica da Guerra Fredda di Biden, che ha incoraggiato l’immigrazione dall’Ucraina, da Cuba, dal Venezuela e dal Nicaragua. Per quanto riguarda l’aumento dell’inflazione post-pandemia, a parte la lievitazione dei profitti dei monopoli dell’alimentazione, si è trattato in buona parte del risultato dell’“American Rescue Plan” (Piano di salvataggio americano), che ha pompato 1,9 trilioni di dollari nell’economia USA mentre, ad esempio, la produzione di beni durevoli ristagnava o calava.

L’amministrazione Biden era fondamentalmente formata da irriducibili superstiti della Guerra Fredda. Sostituendo la parola “comunismo” con “autoritarismo” (termine con cui i seguaci di Biden definiscono la Russia, la Cina, l’Iran, il Venezuela, Cuba, la Corea del Nord, l’Ungheria...) si ha una continuazione della spinta antisovietica imperialista, ma in un momento in cui gli Stati Uniti non hanno più la forza economica e militare per dominare realmente il mondo. Nella sua prima conferenza stampa del 2021, Biden affermò che il mondo si trovava a un “punto di flessione” in “una battaglia tra l’utilità della democrazia nel XXI secolo e le autocrazie”.11 Quando il presidente russo Putin chiese garanzie di sicurezza contro lo sconfinamento della NATO, Biden si è rifiutato di fornirgliele. Al contrario, Washington ha inviato armi a Kiev, scatenando in Ucraina la guerra contro la Russia.

Il presidente “Genocide Joe” Biden abbraccia il primo ministro israeliano, il macellaio sionista Benjamin
Netanyahu, nell'ottobre 2023.
(Photo:Brendan Smialowski / AFP)

Biden ha continuato a ripetere il mantra trionfalistico e arrogantemente imperialista degli USA come “nazione indispensabile” anche dopo che il fasullo “Nuovo Ordine Mondiale” della presunta “democrazia liberale”, che i governanti statunitensi avevano proclamato dopo la distruzione controrivoluzionaria dell’Unione Sovietica, aveva esaurito la propria spinta. Il democratico Bill Clinton avviò la marcia della NATO nell’Europa dell’Est nel 1999. Nel frattempo, la corsa verso la repressione militarizzata sul fronte interno non è certo iniziata con le scenate di Trump contro i cortei del «Black Lives Matter» nel 2020 (quando Biden disse “sparategli alle gambe”). Dal 2009 in poi il democratico Barack Obama ha fornito alla polizia locale autoblindo Bearcat e armi pesanti, equipaggiandola per la guerra civile. E i poliziotti hanno poi utilizzato quell’arsenale contro i manifestanti antirazzisti a Ferguson nel 2014. Che sorpresa!

Dietro a tutto questo c’è la realtà del capitalismo decadente. Il rafforzamento delle forze di polizia locali è stato in parte una reazione al timore di disordini dovuti al crollo finanziario del 2007-08 (quando Obama salvò le banche di Wall Street) e alla depressione che ne seguì. Quella crisi, che immiserì interi settori della classe media mentre i pignoramenti costringevano la gente a lasciare le proprie case e a vivere nelle roulotte, alimentò l’ascesa dell’ala ultradestra del “Tea Party” del Partito Repubblicano, precursore del MAGA trumpiano. Oggi uno dei fattori principali dell’ascesa dei partiti di estrema destra a livello internazionale, oltre al clamore sull’immigrazione, è lo svuotamento dei servizi sociali (come il servizio sanitario nazionale in Gran Bretagna o il sistema pensionistico in Messico) dovuto all’esaurirsi dei fondi pubblici.

Storicamente parlando, la rovina economica e la disperazione dei settori piccolo-borghesi provocate dalla crisi economica capitalista crea un terreno di reclutamento privilegiato per le forze fascistoidi e fasciste. L’abbassamento del tenore di vita e la sempre maggiore precarietà dei mezzi di sostentamento del popolo lavoratore sono i fattori principali che spingono molti tra le braccia di Trump. I democratici non se ne rendono conto (o non se ne preoccupano), perché vedono il loro futuro legato alla classe media dotata di un’istruzione universitaria, i cui redditi sono rimasti stabili, mentre la maggioranza del 63%, priva di una laurea, esaurisce la propria carta di credito per arrivare alla fine del mese. Non c’è da stupirsi se molti di coloro che hanno i redditi familiari più bassi si siano arrabbiati di fronte ai piani di Biden di cancellare i debiti delle università e hanno votato a favore di Trump.

La crisi economica perpetua che i lavoratori si trovano ad affrontare è un sottoprodotto dello svuotamento della base industriale degli USA, poiché le aziende hanno delocalizzato la produzione all’estero, sotto un regime di “libero scambio”. Con questa “globalizzazione”, i democratici hanno previsto che gli Stati Uniti sarebbero diventati una sorta di potenza rentier che avrebbe vissuto dei profitti derivanti dallo spostamento della produzione manifatturiera in paesi con salari più bassi, in Messico o in Brasile, o in Indonesia, o in Bangladesh, ecc. Questa deindustrializzazione non ha soltanto eliminato centinaia di migliaia di posti di lavoro, relativamente ben retribuiti, ma ha anche indebolito la base industriale degli Stati Uniti a tal punto che oggi non sono in grado di produrre armi per rifornire l’Ucraina. Ospitano ancora una sola fabbrica (a Scranton, in Pennsylvania) che produce i proiettili da 155 mm. di cui il regime ucraino ha bisogno per la propria artiglieria.


La repressione poliziesca militarizzata delle proteste non è iniziata con Donald Trump nel 2020. Il presidente democratico Barack Obama ha fornito per anni autoblindo e armi pesanti alla polizia locale, che le ha poi utilizzate
per reprimere i manifestanti antirazzisti contro l’omicidio di Michael Brown da parte della polizia a Ferguson (Missouri), nell’agosto 2014. (Foto: Whitney Curtis / New York Times)

Il piano degli Stati Uniti di nutrirsi in maniera parassitaria alle spalle del resto del mondo esige un esercito forte, eppure il loro dominio militare è bruscamente diminuito. La cosa è stata annunciata dalla sua ignominiosa fuga dall’Afghanistan nel 2021, dopo aver perso una guerra durata vent’anni contro jihadisti islamici male armati. È stata poi evidenziata, a partire dal 2022, dall’incapacità di Washington di sconfiggere la Russia nella guerra per procura imperialista degli USA e della NATO riguardo all’Ucraina. Ed è inoltre stata un fattore importante nella decisione di Hamas di scatenare una guerra contro gli occupanti sionisti nel 2023 e nel rifiuto dell’alleato e stato vassallo israeliano degli USA di ascoltare le pie implorazioni di Biden nel 2024 affinché, per salvare le apparenze, utilizzasse bombe più piccole (fornite dagli Stati Uniti) piuttosto che bombe più grandi (anch’esse fornite dagli Stati Uniti) nella loro guerra genocida congiunta contro i palestinesi.

Poi, il giorno dopo un “cessate il fuoco” negoziato dagli USA in Libano, che ha lasciato gli invasori israeliani al loro posto, la Turchia ha scatenato un’offensiva in Siria per mano dei suoi vassalli islamisti dell’Hayat Tahrir al-Sham (HTS, Organizzazione per la liberazione del Levante) – la quale, nel corso degli anni, aveva ricevuto dagli USA la bellezza di 18 miliardi di dollari in aiuti “umanitari” – che nel giro di una sola settimana ha rovesciato il regime di al-Assad. Così adesso la regione è spartita tra un Grande Israele guidato dal sionista duro fascistoide Netanyahu e una Grande Turchia guidata dall’aspirante sultano Erdoğan, con le sue ambizioni di ripristinare la “gloria” dell’impero ottomano. Contrariamente alle loro illusioni di un mondo “multipolare”, le potenze intermedie del blocco BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) non hanno svolto alcun ruolo mentre il Medio Oriente andava in fiamme.

Tutti questi sviluppi – l’indebolimento economico e militare dell’imperialismo USA, la rovina economica che ha colpito settori della classe media e della classe operaia negli Stati Uniti, la crescita dei partiti di estrema destra, fascistoidi e fascisti a livello internazionale, la crisi per l’immigrazione di massa – nonché altri fenomeni come il terrificante bilancio delle vittime della pandemia da COVID – sono un riflesso della crescente decadenza del capitalismo. E sono esacerbati dall’assenza di una qualsiasi opposizione militante da parte dei movimenti di sinistra e sindacali, che sono asserviti, anima e corpo ai governanti imperialisti. Sia che si tratti degli elementi di sinistra, che in Europa sostengono l’Ucraina (e quindi la NATO), sia si tratti dei sindacati negli USA che soccombono senza combattere, il tutto apre le porte alla destra reazionaria.

Il Programma di Transizione per la rivoluzione socialista internazionale


Il contingente internazionalista al corteo del Primo Maggio 2024 a New York ha fatto appello a rompere col Partito Democratico e con tutti gli altri partiti capitalisti, e a costruire un partito operaio rivoluzionario.
  (Foto: The Internationalist)

Ma da cosa verrà sostituita l’incontrastata egemonia imperialista degli USA? Negli Stati Uniti, Trump e la sua mafia di “uomini di successo” (e donne), completamente dipendenti dai capricci del Padrino, entreranno in contrasto con la maggior parte delle istituzioni governative che adesso dirigono. Nonostante l’uscita di scena (e la depressione) dei democratici, il nuovo regime promuoverà politiche che, in molti casi, vengono combattute da metà del paese, e in alcuni casi (sull’aborto, ad esempio) da quasi due terzi della popolazione statunitense. Lo spettro dei furgoni dell’ICE che pattugliano le strade alla ricerca d’immigrati da agguantare sarà profondamente sconvolgente e le deportazioni di massa dell’entità che Trump ha proclamato, provocheranno il crollo di tutta una serie d’industrie, a partire da quelle delle forniture alimentari. Questa è la ricetta per una confusione infernale.

Dal punto di vista internazionale, gli imperialisti europei non sono in grado di sostituirsi agli Stati Uniti nel condurre la guerra contro la Russia. I “populisti conservatori” e i fascisti non possono sviluppare un dominio stabile in nessuna delle due sponde dell’Atlantico. Gran parte dell’America Latina potrebbe reagire contro l’espansionismo aggressivo “americano” della nuova “Dottrina Trump”. Il Medio Oriente sta già esplodendo, mentre il blocco BRICS è un’entità di poco conto, divisa al proprio interno e impotente. Trump e i suoi emuli in Europa, in Asia e in America Latina potrebbero voler imporre il dominio da stato di polizia di uno “stato forte” bonapartista, ma questo non può essere realizzato con facilità. Mentre l’imperialismo USA morente sferra calci alla cieca, si prepara il palcoscenico per il caos da un capo all’altro del pianeta... e per una dura lotta di classe.

Come avevamo messo in guardia, l’amministrazione Biden si è lanciata verso una Terza guerra mondiale nucleare che ha come suo bersaglio la Russia e lo stato operaio cinese burocraticamente deformato, con una costante escalation in Ucraina, dove la Lega per la Quarta Internazionale fa appello a difendere la Russia e a sconfiggere la guerra per procura imperialista degli USA e della NATO. Sebbene Trump sia considerato meno falco guerrafondaio nei confronti della Russia di Putin e abbia pasteggiato insieme al presidente cinese Xi Jinping, i suoi candidati alla politica estera sono virulenti anticomunisti da Guerra Fredda. I loro primi bersagli potrebbero essere il Venezuela e lo stato operaio deformato cubano, che si trovano entrambi in una situazione economica precaria a causa delle draconiane sanzioni statunitensi. Come per l’Ucraina, la LQI difende i bersagli dell’attacco imperialista. E il nostro appello è quello per uno stato operaio palestinese arabo/ebraico nel quadro di una federazione socialista del Vicino Oriente.

La situazione mondiale di estremo pericolo esige con urgenza una direzione internazionalista rivoluzionaria proletaria. In tali circostanze le rivendicazioni transitorie passano in primo piano, per “aiutare le masse, nel processo della loro lotta quotidiana, a trovare il ponte tra le loro rivendicazioni attuali e il programma socialista della rivoluzione” (L. Trotsky, Programma di transizione [1938]). Perciò in molte industrie è necessario condurre la battaglia per una settimana lavorativa più breve senza perdita di salario, ma anche una lotta per il controllo operaio della produzione, partendo dalla creazione di comitati sindacali per la sicurezza. Contro le bande fasciste e gli attacchi razzisti è necessaria l’autodifesa operaia, da impiegare ad esempio per proteggere le comunità d’immigrati e le cliniche che praticano l’aborto. Contro le deportazioni di massa, è fondamentale creare dei comitati per la difesa degli immigrati nei luoghi di lavoro e nelle scuole nonché squadre di pronto intervento nelle comunità.

L’Internationalist Group fa appello all’azione degli operai e degli immigrati per fermare le deportazioni, per i pieni diritti di cittadinanza per tutti gli immigrati e per il diritto di chiunque risieda negli USA di rimanervi. Queste rivendicazioni, pari al diritto all’aborto libero su richiesta, a istruzione pubblica e assistenza sanitaria gratuite e di qualità per tutti, sono semplicemente dei diritti democratici. Tuttavia, nelle condizioni del capitalismo decadente, quando vengono costantemente ridotti, questi diritti possono essere pienamente realizzati solamente mediante la rivoluzione socialista. La costruzione di un partito operaio rivoluzionario è la chiave non solo per guidare queste lotte fino alla loro conclusione, ma anche per le battaglie odierne, nelle quali, ad esempio, la lotta per semplici rivendicazioni sindacali non può essere condotta senza infrangere la camicia di forza capitalista delle clausole o dei divieti anti-sciopero e di tutto l’insieme delle leggi antioperaie.

La direzione di cui abbiamo bisogno deve essere un’avanguardia proletaria multietnica basata sul programma bolscevico di Lenin e Trotsky. Donald Trump, con le sue farneticazioni, può anche essere unico nel suo genere, ma non è il primo aspirante dittatore che il mondo si è trovato ad affrontare. Attingendo alle lezioni della Rivoluzione Bolscevica russa dell’Ottobre 1917, negli anni Trenta, Trotsky e i trotskisti furono gli unici a elaborare un programma rivoluzionario, contro i tradimenti delle false direzioni dei socialdemocratici e degli stalinisti, per azioni operaie unite, volte a fermare i nazifascisti di Hitler. Oggi come allora, il programma della lotta di classe intransigente è la chiave per mobilitare la forza della classe operaia per sconfiggere le minacce mortali che, tra le molte altre incognite, l’umanità si trova ad affrontare. ■ 

Il coalizionismo e l’elettoralismo della “sinistra”: un vicolo cieco

Nelle elezioni USA del 2024 la sinistra ha svolto un ruolo trascurabile. Il Green Party, (i verdi) un partito borghese minore che esiste principalmente come gruppo di pressione liberale sui Democratici, ha raccolto 878.000 voti, mentre il riformista Party for Socialism and Liberation (PSL) ne ha ottenuti 171.000 e il candidato liberal-radicale Cornel West ne ha avuti 92.000. Dopo un comizio congiunto a Chicago nella giornata che ha preceduto la Convention democratica in quella città, alla vigilia delle elezioni del 5 novembre le tre liste hanno annunciato accordi di scambio in diversi Stati. I voti di quest’alleanza elettorale, di fatto, sono stati 1.141.000, pari ad appena sette decimi dell’1% di un totale di 155 milioni. I gruppi più piccoli che solitamente si candidano alle elezioni, come il Socialist Workers Party e il Socialist Equality Party, hanno preso poco più di 4.000 voti ciascuno.

La candidata del Party for Socialism and Liberation ha stretto un’alleanza politica per le elezioni statunitensi del 2024 con Jill Stein, candidata dei Verdi, un partito borghese minore. I trotskisti rivoluzionari chiedono di non votare nessun partito in un “fronte popolare” di collaborazione di classe.  (Foto: Gp.org)

La Spartacist League (SL), che tre decenni fa ha abbandonato il trotskismo rivoluzionario, ha dato un sostegno critico al PSL. In una dichiarazione del 3 novembre 2024, la SL ha invitato a “Non votare per West e Stein”. Ricorrendo a motivazioni pretestuose, la dichiarazione spartachista ammetteva che l’“accordo elettorale opportunista” basato su “valori condivisi” era una “coalizione politica” che rifletteva quanto “il PSL ha costantemente offuscato la necessità dell’indipendenza di classe nella propria campagna”, ma invitava comunque a votare per il PSL. Per i marxisti l’indipendenza di classe costituisce una precondizione per dare un sostegno critico a qualsiasi partito o candidato. E dare un sostegno elettorale al PSL significava abbandonare la posizione storica della SL di non appoggiare nessun partito che faccia parte di un’alleanza collaborazionista di classe di “fronte popolare”.

Non c’è da stupirsene, poiché la SL dei nostri giorni, oggi rinata a nuova vita, ha buttato a mare quasi tutte le posizioni che distinguevano la Tendenza Spartachista [Internazionale] quando questa era l’unica a sostenere il programma bolscevico di Lenin e Trotsky. Dal settembre 2023 la “nuova” SL ha proclamato che il compito prioritario della sinistra negli ultimi trent’anni e oltre è stato quello di “rompere col liberalismo”. Perciò alle elezioni del 2024 ha invitato a votare per il PSL che, a suo dire, si trovava in un’ “alleanza indecente con le campagne dei due partiti liberali”!? Chi ci capisce è bravo. E adesso, in una sua sintesi post-elettorale, ha dichiarato che il “ritorno di Trump” segna “la morte del liberalismo” (24 novembre 2024). La logica di questa posizione è che la vittoria del megalomane razzista, misogino, xenofobo e narcisista Trump rappresenta in qualche modo un passo in avanti.

Mentre l’ondivaga SL ora dichiara la necessità di una “rottura sia col liberalismo che col populismo di destra”, questa sua concezione completamente idealista rimane fluttuante al di sopra della realtà materiale della lotta di classe, nella sfera dell’ideologia. La SL ha preso per buona la linea trionfalistica di Francis Fukuyama, l’ideologo del Dipartimento di Stato USA, il quale dichiarò che la scomparsa dell’Unione Sovietica aveva segnato la vittoria della “democrazia liberale” quale ultima ideologia che ancora rimaneva in piedi. Lasciamo da parte il fatto che, in questo scenario da “fine della storia”, molti degli alleati degli USA non sono per nulla liberali né democratici, e contrario all’abbraccio della SL al concetto di Karl Kautsky, il “papa” dello pseudo marxismo socialdemocratico dell’“ultraimperialismo” dominato da una sola potenza, tutto l’intero costrutto è appena collassato. ■ 


  1. 1. Secondo la numerazione del MAGA, Trump 45 sta a segnalare che egli è stato il 45° presidente USA, mentre Trump 47, dopo aver vinto le ultime elezioni, sarà quando si scateneranno davvero.
  2. 2. Il voto popolare è stato di 77 milioni per Trump contro i 75 milioni della Harris.
  3. 3. Le cifre riguardanti i beni di consumo delle famiglie e gli affitti sono tratte dal monitoraggio prezzi della CBS News, consultato il 20 dicembre 2024.
  4. 4. “How NAFTA Broke American Politics”, New York Times Magazine, 8 settembre 2024.
  5. 5. Si vedano “DNC: Militarism on the March”, “The Only Choice: Build a Revolutionary Workers Party” e altri articoli in Revolution n. 21, settembre 2024.
  6. 6. “Fiscal Populism to Be in Hands of Billionaires”, The New York Times, 26 novembre 2024.
  7. 7. Si veda il artico “Incoming” by Eliot Weinberger nella London Review of Books (26 December 2024)
  8. 8. Nel suo saggio pubblicato nel 1852, «Il diciotto brumaio di Luigi Bonaparte» (in K. Marx-F. Engels, Opere, vol. XI, Editori Riuniti, Roma 1982, pp. 105-205), Karl Marx coniò il termine bonapartismo riferendosi all’imperatore francese (e nipote di Napoleone Bonaparte) che governò la Francia dal 1848 al 1871. Negli anni Trenta Lev Trotaky generalizzò questo termine estendendolo ai regimi che, cercando di agire da arbitri tra le diverse classi, spazzano via le norme ‘democratiche’ e si basano puramente e semplicemente sull’apparato militare e poliziesco. Si veda il nostro opuscolo Marxism vs. Bonapartism, Internationalist Group Class Readings, settembre 2004 [https://www.internationalist.org/marxism-vs-bonapartism-pamphlet-web.pdf].
  9. 9. Si veda “Is Donald Trump a Fascist?” (The Internationalist n. 74, ottobre-dicembre 2024)
  10. 10. Si veda “This Is Who We Are Now,” New York Times, 6 November 2024.
  11. 11. Citazioni tratte da David E. Sanger, New Cold Wars. China’s Rise, Russia’s Invasion, and America’s Struggle to Defend the West (2024).